Molto spesso si sente parlare di distanza iperfocale, definita come quella distanza di messa a fuoco per cui nell’immagine ottenuta sarà a fuoco tutto quel che si trova da metà di questa distanza sino all’infinito.
Ma esattamente come la si imposta?

E’ necessario iniziare accennando alla Profondità di Campo: essa è una delle possibilità (o dei limiti) che ci offre la tecnica e che noi possiamo utilizzare a fini creativi; per alcuni tipi di fotografia (ritratti, macrofotografia, ecc.) è richiesto di minimizzare la zona a fuoco per far risaltare il soggetto nitido e minimizzare l’importanza, sfuocandolo, di ciò che sta davanti o dietro al piano in cui esso si trova.
In altri casi (paesaggio, fotografia commerciale, ecc.), quando si vuol offrire un punto di vista realistico o scientifico, si vuole invece che la maggior parte della scena sia a fuoco.

Massimizzare la profondità di campo non si ottiene soltanto, come intuitivo, agendo sul diaframma (chiudendolo aumenta la quantità dell’immagine che appare nitida), ma anche scegliendo la distanza tra fotocamera e parte principale del soggetto (minore è questa distanza di messa a fuoco e meno profondità di campo si otterrà), e la lunghezza focale dell’obiettivo (più lunga è la focale e meno profondità di campo sarà disponibile; un grandangolo permette più facilmente di avere grande profondità di campo, con un teleobiettivo spinto ci vuole molta cura nella messa a fuoco, perchè la profondità di campo è molto limitata).
Esiste un quarto ed ultimo fattore che influenza la profondità di campo: il circolo di confusione, che merita un approfondimento:
esso viene definito come il più piccolo cerchio che l’occhio umano riesce a distinguere ad una determinata distanza. Ossia, è il limite sotto il quale l’occhio non riesce a distinguere un cerchietto da un punto. Per convenzione si è stabilito che, a una normale distanza di visione (definita pari alla diagonale della stampa che si sta osservando) l’occhio umano ‘sano’ che osserva una stampa di 20×25 centimetri (8×10 pollici) da una distanza di circa 32 centimetri (pari alla sua diagonale), percepisce come puntiformi tutti i cerchietti aventi un diametro inferiore a 0,2 millimetri.
Invece, siccome una pellicola 35mm (24x36mm) deve essere ingrandita di 7,56 volte per raggiungere il formato 20×25 centimetri, che viene convenzionalmente usato come termine di paragone, il circolo di confusione sarà calcolato come 0,2mm / 7,56 = 0,026 mm. Diminuire o aumentare questo valore rende l’immagine più o meno nitida e per questo le aziende utilizzano questi valori nella progettazione degli obiettivi, e scegliendo valori diversi del circolo di confusione per produrre obiettivi con diversa qualità.
Per lo stesso motivo di cui sopra, un sensore APS digitale 22,5x15mm avrà un circolo di confusione ancora più piccolo, pari a 0,016 mm. Una pellicola medio formato 6×6, 56x56mm, avrà invece un circolo di confusione pari a 0,062mm.
Quindi, come abbiamo potuto capire, la profondità di campo – ossia quella porzione dell’immagine che risulta nitida, costituita da punti e non da cerchi – dipende anche dalle dimensioni del sensore digitale o della pellicola, perchè dipende da questi quanto l’immagine dovrà essere ingrandita per arrivare al formato convenzionale 20x25cm: più grande è il sensore, maggiore sarà la sensazione di nitidezza e di conseguenza maggiore sarà l’area che pare rientrare nella nostra profondità di campo.

Insomma, come conclusione di questa parentesi, ci possiamo permettere di definire in maniera molto scientifica la profondità di campo: è la porzione di spazio, davanti e dietro il punto sul quale viene eseguita la messa a fuoco, delimitata da due piani (limite anteriore e limite posteriore) all’interno dei quali tutti i punti hanno un diametro inferiore al diametro del cerchio di confusione su una stampa di 20×25 cm osservata a una distanza pari alla sua diagonale.

Ma, dopo quest’ampia premessa, arriviamo al nocciolo della questione: che cos’è questa iperfocale?

Non siate impazienti, ‘divaghiamo’ ancora un momento:
se noi vogliamo mettere a fuoco il più possibile nella scena, il consiglio dei ‘vecchi’ è: sgancia l’Autofocus e passa in manuale; puoi ottenere una maggiore profondità di campo mettendo a fuoco non il soggetto, ma un punto davanti ad esso perchè la profondità di campo si estende il doppio dietro il soggetto rispetto al davanti. In realtà non è proprio sempre così, anzi non lo è quasi mai, perchè se la distanza di ripresa è piccola, la profondità di campo tende ad essere simmetrica rispetto al piano di messa a fuoco, mentre se la distanza di ripresa è grande, essa si estende dietro il soggetto per ben più di due terzi, ma in buona approssimazione ci permette di capire come arrivare a dare una corretta definizione della distanza iperfocale:
è la distanza di messa a fuoco che, una volta impostata sul mio obiettivo, permette di estendere la profondità di campo dall’infinito alla metà di tale distanza ed è sempre riferita ad una precisa lunghezza focale e ad una precisa apertura di diaframma.

Perfetto, gran bella definizione! Resta da capire come impostarla sul mio obiettivo…
Ci sono due casi: si lavora con vecchi, datati, obiettivi, di quando tutti sapevano cos’è l’iperfocale :rolleyes: , oppure si lavora con obiettivi moderni ipertecnologici;

– nel primo caso, sull’obiettivo era indicata la ‘scala delle profondità di campo’, più o meno così:
16 – 11 – 8 – 4 – 2.8 * 2.8 – 4 – 8 – 11 – 16
Questa scala è fissa, messa vicino alla ghiera delle distanze, che ovviamente ruotiamo per scegliere la distanza di messa a fuoco. Per ogni coppia di numeri sulla scala delle profondità di campo, uno dei valori corrisponde in metri al limite inferiore della profondità di campo, il secondo al limite superiore, mentre l’* è il segno di riferimento per la messa a fuoco. In questo modo si capiva che, ad esempio mettendo il mio obiettivo a fuoco su una distanza di 2 metri con diaframma impostato a F11, leggevo sotto * appunto 2m, sotto l’11 posto a sinistra 1,5m, sotto l’11 posto a destra 3,5m, per cui la mia profondità di campo (con quell’obiettivo di tal lunghezza focale, a quella distanza e con il diaframma F11) si estendeva tra 1,5m e 3,5m.
Calcolare l’iperfocale era semplicissimo, conoscendone la definizione teorica: giravo la ghiera delle distanze in modo che ‘infinito’ fosse sotto l’11 a destra e vedevo, ad esempio, che il fuoco era su 4,5m, mentre sotto l’11 di sinistra leggevo 2,2m; 4,5m era la distanza iperfocale di quell’obiettivo se usato a F11 e mi permetteva di avere tutto a fuoco dalla metà di quella distanza (2,2m) sino all’infinito.

– nel secondo caso, se l’obiettivo non riporta la scala delle profondità di campo, si deve faticare, ricorrendo alla formula di calcolo dell’iperfocale: H = fxf/NxC
dove f è la lunghezza focale dell’obiettivo, N l’apertura del diaframma e C il diametro del circolo di confusione. Una volta fatti i conti per ciascun diaframma, tenendo costanti i valori di lunghezza focale dell’obiettivo e del circolo di confusione del mio formato di pellicola/sensore (adesso avete capito perchè l’abbiamo fatta così lunga, voi paesaggisti che usate obiettivi ipertecnologici? ;) ), li annoterò su un foglietto che terrò nello zainetto fotografico per l’evenienza.

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