E’ vero che la lunghezza focale delle ottiche per analogico, se montate su digitale (nel caso Nikon), va moltiplicata per 1,5…Così, ad es, il Nikkor 70-200, montato su una digitale, diventerà un 105-300?
Facciamo chiarezza una volta per tutte:
un obiettivo da 200 mm ha certe caratteristiche, profondità di campo, compressione dei piani e prospettiva ben diverse da un 300mm, che siano montati su una macchina a pellicola 24×36, su una macchina 6×6, su una digitale APS o su una digitale Full-Frame.
La lunghezza focale è una misura fisica che indica la distanza tra il piano su cui si forma l’immagine (pellicola o sensore che sia) ed il punto nodale posteriore dell’obiettivo.
Quello che cambia variando le dimensioni della superficie (pellicola o sensore) su cui l’immagine viene impressa e mantenendo invariata la lunghezza focale è l’angolo di campo inquadrato e questo valeva già prima dell’avvento del formato digitale APS: un obiettivo normale per il formato 24x36mm è il 50mm, che ha un angolo di campo circa simile a quello dell’occhio umano, 45° (si definisce ‘normale’ un’ottica che ha lunghezza focale pari a circa la diagonale della pellicola, 43mm per il 24×36); per il formato 6×6 l’obiettivo ‘normale’ è invece l’80mm, che ha 56° di angolo di campo. Resta sempre però un 80mm, con caratteristiche fisiche diverse da un 50mm.
La stessa lunghezza focale di 80mm, montata sul 24×36, ha un angolo di campo di circa 30° (medio-tele), montata su un sensore APS ha invece lo stesso angolo di campo di un obiettivo avente lunghezza focale di 120mm ossia 20° (tele), ma resta pur sempre fisicamente un obiettivo da 80mm, con le sue peculiari caratteristiche.
Quello che cambia è la porzione di scena inquadrata dall’ottica, ossia il tuo 70-200mm su sensore APS (di dimensioni, per il DX Nikon, 15.6×23.7mm) inquadrerà la stessa porzione di scena che inquadrerebbe un 105-300 montato su una digitale full frame (23.9x36mm il sensore della D3) o su una pellicola 24×36, ma continuerà ad avere la profondità di campo, la compressione dei piani e la prospettiva di un 70-200.
Un obiettivo non ‘ingrandisce’ o ‘ravvicina’, prende una porzione di inquadratura, delimitata dal suo angolo di campo, e la riproduce sull’intera superficie del sensore (o della pellicola);
il discorso è lo stesso che devi fare per inquadrare questa immagine ed usare 3 lunghezze focali diverse: un grandangolo, un normale, un tele
Questi rettangoli ti definiscono solamente la porzione di inquadratura che quell’obiettivo coprirà, ma come ben sai ci sono grandi differenze di resa visiva tra un grandangolo (che ha ad esempio una notevole dilatazione dei piani, per cui oggetti che all’occhio sembrano di poco distanti uno dietro l’altro, nella foto sembreranno più distanti tra di loro: con il grandangolo la distanza tra la farfalla ed il viso della bimba sembrerà maggiore di quella che è in realtà) ed un teleobiettivo (che comprime i piani, per cui sembrerà che la bambina si tenga la farfalla sulla punta del naso…)
Parimenti, è facile vedere che la profondità di campo (in metri di profondità dell’immagine che restano a fuoco) che si ottiene con un grandangolo impostato a 2,8 sarà molto maggiore della profondità di campo di un tele alla stessa apertura; lo stesso per la prospettiva (un volto ripreso con un grandangolare si deforma allargandosi e si deforma invece restringendosi con un tele).
Per questo ti dico che il tuo 70mm su una full frame si comporterà per caratteristiche ottiche come un 70 mm anche sul formato APS e non con le caratteristiche ottiche di un obiettivo da 105mm, anche se l’angolo di campo sarà più ristretto, come appunto quello di un 105 (23° invece di 35° nel formato 24×36).
Per verificare se hai capito, ti faccio adesso una domanda io: dando per risaputo che per evitare il mosso si tende ad applicare una regola empirica (mooooolto empirica, dico io) per cui non si deve mai scendere come tempo di scatto sotto l’inverso della lunghezza focale (se scatti con un obiettivo da 200mm, non dovresti usare tempi più lunghi di 1/200s), se monti il tuo 200 su sensore APS, lo devi considerare come un 300mm, ossia non scendere sotto 1/300s o scatti a 1/200s e sei tranquillo?
Risposta:
premesso che la regoletta empirica l’ho definita ‘molto approssimativa’ perchè non tiene conto di un parametro invece fondamentale: la grandezza della stampa finale che voglio ottenere. Ho personalmente sperimentato (a parte ovviamente caratteristiche personali di mano più o meno ferma) che la regola è valida nel formato 24×36 se si stampa non oltre il formato 10×15: volendo fare stampe più importanti occorre tutelarsi maggiormente oppure usare il cavalletto.
Per rispondere alla domanda partiamo tenendo conto che, paradossalmente (rispetto a quel che verrebbe da pensare), usando quelle pesanti attrezzature medio formato 6×6, si può stare molto più tranquilli riguardo al mosso rispetto al formato 24×36 (ancor di più ovviamente rispetto al 15,6×23,7), e scendere a mano libera a valori ben più lenti dell’inverso della focale, per un semplice motivo (a parte l’otturatore centrale, più stabile): per ottenere una stampa 10×15 da un negativo 24×36 devo ingrandire l’immagine originale 16 volte; per ottenere la stessa stampa da un negativo 6×6 basta che lo ingrandisca 4-5 volte, ed il mosso visibile è quindi meno dietro la porta.
Applicando le stesse considerazioni con il formato digitale, per ottenere la stessa stampa 10x15cm da un sensore 15.6×23.7mm devo ingrandirla 40 volte; è quindi auspicabile che mi tenga sul sicuro e consideri il mio obiettivo come 2 volte la sua focale o, in altre parole, raddoppi il tempo di sicurezza (almeno 1/125s con una focale da 70mm) oppure utilizzi il cavalletto.
Approfondiamo il concetto con due immagini, per chiarire la differenza di caratteristiche ottiche alle varie lunghezze focali; qui non c’entra la dimensione del sensore o della pellicola, voglio far capire come cambia la resa del soggetto estremizzando il discorso e passando da un grandangolo ad un tele, ma il discorso vale ovviamente più in piccolo anche per scostamenti minori:
La prima foto è fatta con un 35 mm:
Notate la distanza in profondità tra il cartello ed il carro armato: in realtà risulta leggermente maggiore di quello che è in realtà (che vediamo ad occhio nudo o che renderemmo con un 50mm): i piani vengono dilatati.
Variando di poco il punto di ripresa e scattando con un 300mm, la distanza tra i due oggetti risulta invece molto inferiore di quanto sia in realtà, i piani vengono compressi:
Come ho detto, è un esempio per estremizzare il discorso e per farlo comprendere, la differenza è tra 35mm e 300mm, ma lo stesso avviene, pur in maniera minore, anche tra 70mm e 105mm: mantenendo lo stesso punto di ripresa, se scatto due fotografie prima con un sensore APS e 70mm e poi con una macchina full frame con montato un 105mm, riprenderò sì la stessa porzione di inquadratura (stesso angolo di campo), ma le due immagini risultanti saranno differenti per profondità di campo, distorsione prospettica e compressione dei piani.
E la profondità di campo, anch’essa varia secondo le dimensioni del sensore? in effetti, con un sensore più piccolo, prendo solamente una porzione minore di ciò che vede l’obiettivo, quindi non dovrebbe variare!
E invece sì!
Riassiumiamo:
cambiando formato della superficie sensibile (pellicola 6×6, 24×36, sensore APS, full frame), le ottiche montate mantengono la stessa luminosità (apertura f del diaframma), le stesse caratteristiche ottiche (compressione dei campi, prospettiva, bokeh), la stessa lunghezza focale, quello che varia è l’angolo di campo, ossia la porzione di scena inquadrata.
Per comprendere allora cosa succede alla profondità di campo, che ricordo dipendere da tre parametri (apertura del diaframma, distanza del soggetto, lunghezza focale) basta ricordare una cosa essenziale: per ottenere la stessa porzione di scena inquadrata da un 50mm su sensore DX (equivalente alla porzione di scena inquadrata, caso Nikon, come angolo di campo da un 50×1,5=75mm su sensore full frame) con un 50mm su sensore o pellicola 24×36, devo indietreggiare nello spazio (e quindi aumentare quel parametro che influenza la profondità di campo che è la distanza dal soggetto) fino a inquadrare la stessa scena; aumentando la distanza e mantenendo fissi diaframma e lunghezza focale, sarà aumentata la profondità di campo. Di quanto?
Di quanto dovrò indietreggiare? Il fattore di moltiplicazione Nikon 1,5 è pari al rapporto tra la diagonale del formato 24×36 e quella del sensore digitale considerato, 15,6×23,7, che dà appunto 1,5. Io indietreggerò finchè le due immagini saranno identiche e a quel punto la profondità di campo che otterrò con il sensore DX con fattore di moltiplicazione 1,5 e apertura di diaframma f, sarà identica alla profondità di campo del sensore full frame o della pellicola 24×36 all’apertura di diaframma fx1,5 utilizzandoli nel posto dove adesso mi trovo. Viceversa, se invece di essermi spostato fossi rimasto fermo al mio posto, sul mio DX il 50mm con apertura f=4 avrà angolo di campo di un 75mm e profondità di campo come se usassi un’apertura f=4×1,5 ossia circa 5,6 sul full frame.
Su questa regola si basano le ottiche montate sulle compatte digitali, che hanno sensori molto più piccoli: un sensore 7,18×5,32mm ha un rapporto di ingrandimento rispetto al 24×36 pari a 4,84, per cui l’ottica utilizzata può essere ad esempio un 7,2-28,8mm, che coprirà l’inquadratura equivalente ad un 35-140mm sul 24×36; le piccole dimensioni del sensore consentono insomma di ridurre le lunghezze focali utilizzate e quindi ottenere una profondità di campo maggiore; per questo solitamente non offrono aperture di diaframma inferiori ad f8, e già con f5,6 si ottiene una considerevole profondità di campo, equivalente a f5,6×4,84=oltre f22.